Oggi ritorna la rubrica "Ritratto di Signora" e ringraziamo Federica di Sta sera cucino io per il suo contributo.
Lascio subito a lei la parola.
Anni fa ho letto un libro al quale forse non ho prestato
l'attenzione che avrei dovuto.
Ora non sarei in grado di citarne brani o stralci, ma la
storia è una di quelle che rimane impressa nella mente.
“Con il sari rosa”, la storia di Sampat Pal e della sua Pink Gang.
È la storia di una bambina, figlia di gente povera
e analfabeta che aiuta la famiglia lavorando nei campi. La bambina, però, pur
consapevole dell’importanza del suo lavoro, si lascia presto distrarre da
alcuni coetanei che vanno a scuola. Sampat sa che la scuola è solo per i più
ricchi, mentre la sua famiglia è più che povera, appartiene a una delle caste
più basse dell’India, è quasi un’intoccabile. E così la scuola, diventa per lei
un paradiso proibito, nel quale non le è concesso entrare. Perché non fa parte
di quel mondo. Perché i suoi genitori non capirebbero. Eppure lei ha voglia di
imparare. Ne ha così tanta che trova uno spazio dal quale riuscire a sentire le
parole del maestro e imparare, finalmente, l’alfabeto. La sua determinazione però
la porta a trovare l'appoggio di uno zio, che alla fine le permette di
frequentare le lezioni.
La sua vittoria ha però vita breve.
A soli nove anni, come tradizione nella poverissima
regione dell'India dove vive, viene data in sposa ad un uomo con più del doppio
dei suoi anni, un uomo che non conosce, che non ha mai visto. La convivenza col
marito inizia solo tre anni dopo, e ancora tredicenne da alla luce il primo dei
suoi figli.
La consuetudine vuole che lei sia silenziosa e si
sottometta al marito, alla suocera e ai soprusi di chiunque appartenga a una
casta più elevata. Perché così si deve fare. Perché quello, le dicono, è il suo
destino.
Ma Sampat non ci sta, è orgogliosa, e non accetta
di subire senza ribellarsi, e quando all'ennesima angheria reagisce la suocera
la caccia di casa con i due figli nati nel frattempo.
Potrebbe essere la fine di tutto e invece è il
momento in cui le cose cambiano. È un nuovo inizio.
L'idea su cui si basa è che le leggi non devono essere riscritte, ma
semplicemente applicate.
“in teoria le donne sono uguali agli uomini.
Siamo un paese libero, con leggi moderne, e la Costituzione ci
accorda i loro stessi diritti.
… Ma le leggi che dovrebbero tutelare questi diritti risultano
inapplicabili”
Capisce anche che un gruppo di 50, 100, 200 può più
del singolo, capisce la forza della solidarietà. Spinge le donne a unirsi un
gruppi, e dedica la sua vita a combattere le ingiustizie, ad aiutare altre
donne creando gruppi di self-help: insegna loro a cucire, soprattutto a quelle
rimaste senza marito perché questo da loro un modo per guadagnare e potersi
mantenere. Comprare una macchina da cucire diventa il mezzo per il riscatto.
È in seguito a tutto questo che, nel 2006, crea la
“Gulabi gang” (Gulabi significa rosa, inteso come fiore, simbolo di
dolcezza, ma queste donne portano con sé anche un bastone simbolo di
autorevolezza e di capacità di difendersi).
Ha avuto difficoltà a reclutare e formare le sue
militanti, ma una volta arruolate niente riesce a fermarle. Queste donne, unite,
hanno un solo scopo: lottare contro l’ingiustizia e la corruzione. Sceglie per
il suo gruppo una divisa che contribuisce banalmente a vedersi e ritrovarsi
nella folla, a creare un senso di appartenenza e unione, e che oltretutto è di
grande impatto visivo quando in tante si presentano fuori da un comando di
polizia per manifestare o presentare una denuncia.
Il gruppo, che conta diverse migliaia di donne e
pochi uomini, si comporta come se fosse formato da vigilantes, intervenendo in
maniera attiva e decisa se possono evitare qualche soppruso.
Parallelamente operano per far raggiungere una
maggiore giustizia sociale per i poveri, ma con una maggiore attenzione alle
condizioni delle donne povere.
Il loro obiettivo è quello di incutere paura ai
malintenzionati e di guadagnarsi il rispetto dei funzionari che hanno il potere
di facilitare e promuovere un cambiamento della situazione.
Nel 2010 la storia di
Sampat viene raccontata anche in un film documentario intitolato “Pink Gang”.
Sampat è una passionaria, ha il piglio di un
generale, è decisa, usa un linguaggio militaresco quando parla della sua Gang.
Ha decisamente un’alta opinione di sé e non lo nasconde, d’altro canto in un
paese dove ancora oggi esistono le caste, almeno di fatto, visto che sono state
abolite dalla legge, se non avesse avuto una tale determinazione, convinzione e
forza d’animo non avrebbe ottenuto simili risultati.
Grazie mille a Federica per questa sua testimonianza, il bello di questa rubrica è proprio venire a conoscenza di donne e di storie di cui non sapevo nulla.
Al mese prossimo!
Monica, Miki, Fede, Daniela, Franci e Jennifer
- Miki in the Pink Land
- Stasera cucino io
Nessun commento:
Posta un commento