Questa settimana non sono riuscita a preparare la recensione di un libro, un po' perchè non mi sento benissimo fisicamente e un po' perchè ho parecchio da fare al lavoro!
Però, grazie al forum http://shadowhunters.forumcommunity.net che mi ha dato il permesso di pubblicare questo post (citando ovviamente la fonte) ho una piccola sorpresina per voi *___*.
Però, grazie al forum http://shadowhunters.forumcommunity.net che mi ha dato il permesso di pubblicare questo post (citando ovviamente la fonte) ho una piccola sorpresina per voi *___*.
Settimana scorsa una delle nostre autrici preferite, Cassandra Clare, ha postato una sorta di FF per ringraziare i 30.000 followers che la stanno seguendo su Twitter.
Questa FF è incentrata su due personaggi che io amo tantissimo.. ALEC e MAGNUS.. io l'ho trovata fantastica, letta tutta d'un fiato.. spero che possa piacere anche a voi!
Grazie a http://shadowhunters.forumcommunity.net per la traduzione e per avermi permesso di pubblicarla sul blog!
Buona lettura a tutti!
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Era stampato su della carta sottile, quasi simile a pergamena, in una fina, elegante, mano spigolosa. Annunciava un raduno nell’umile casa di Magnus il Magnifico Stregone, e prometteva di aspettarsi “una frenetica serata di delizie oltre ogni più selvaggia immaginazione.” —Città di Ossa.
In piedi nella tromba delle scale della casa di Magnus, Alec fissava il nome scritto sotto il campanello, sul muro. BANE. Tale nome non sembra proprio rappresentare Magnus, pensò, non ora che lo conosceva. Certo, se davvero potevi dire di conoscere qualcuno quando avevi partecipato a una delle sue feste, una volta, e poi ti aveva salvato la vita, praticamente sparendo in seguito senza poter essere ringraziato. In ogni caso il nome Magnus Bane all’epoca lo aveva fatto pensare a una figura torreggiante, con delle enormi spalle e una tipica tunica viola da stregone, che scatenava fuoco e fulmini. Decisamente poco Magnus che, in realtà, sembrava più un incrocio tra una pantera e un elfo impazzito.
Alec fece un respiro profondo e poi espirò. Bè, aveva fatto tutta quella strada; ormai doveva andare avanti. La lampadina spoglia penzolante sopra la sua testa creava immense ombre scure, così, alla fine, Alec raccolse tutto il suo coraggio e suonò il campanello.
Un momento dopo una voce echeggiò giù per la tromba delle scale. “CHI OSA DISTURBARE L’ALTISSIMO STREGONE?”
“Er,” Disse Alec. “Sono io. Cioè, sono Alec. Alec Lightwood.”
Ci fu una sorta di silenzio, come se anche il corridoio fosse rimasto sorpreso. Poi un tintinnio, e la seconda porta si aprì, lasciandolo uscire dalla tromba delle scale. Salì i traballanti gradini in mezzo all’oscurità, che puzzava di pizza e polvere. Il secondo piano dove approdò, invece, era luminoso, la porta alla fine di esso aperta. Magnus Bane se ne stava appoggiato all’entrata.
Comparato alla prima volta in cui Alec lo aveva visto, Magnus sembrava piuttosto normale. I suoi capelli neri erano ancora sparati in aria, divisi in punte, e sembrava assonnato; il suo viso, anche con i suoi occhi da gatto, era ancora veramente giovane. Indossava una maglietta nera con su scritto “UN MILIONE DI DOLLARI” ricamata con delle paillettes sul petto, e jeans bassi sui fianchi, bassi abbastanza da far sì che Alec guardasse altrove, precisamente in basso, verso le sue scarpe. Una cosa noiosa.
“Alexander Lightwood,” disse Magnus. Aveva solo il fantasma di uno strano accento, uno che Alec non riusciva ad identificare, una nota sulle vocali. “A cosa devo il piacere?”
Alec guardò dietro Magnus. “Hai… compagnia?”
Magnus incrociò le braccia, il che faceva decisamente notare i suoi bicipiti, e si appoggiò al lato della porta. “Perchè vuoi saperlo?”
“Speravo che sarei potuto entrare e avrei potuto parlare un po’ con te.”
“Hmmm.” Gli occhi di Magnus lo guardarono dall’alto in basso. Brillavano davvero al buio, come quelli di un gatto. “Bè, va bene allora.” Si voltò rapidamente e sparì nell’appartamento; dopo un momento di paura, Alec lo seguì.
L’appartamento sembrava diverso senza un centinaio di corpi agitati dentro di esso. Sembrava. . .bè, non ordinario, ma un posto in cui qualcuno avrebbe quasi potuto vivere. Come la maggior parte degli appartamenti, aveva una grande stanza centrale divisa in molteplici “stanze” da gruppi di mobili. C’era un insieme di divani e tavoli alla destra, dove Magnus gli fece cenno di avviarsi. Alec si sedette su una poltrona di velluto dorato con delle eleganti intarsiature di legno nei braccioli.
“Ti và del tè?” domandò Magnus. Lui non era seduto su una sedia, ma si era disteso su un taft ottomano, le sue lunghe gambe distese dinanzi a lui.
Alec annuì. Si sentiva incapace di dire qualsiasi cosa. Nulla di interessante o intelligente, per lo meno. Era sempre stato Jace a dire quel genere di cose. Alec era il parabataio di Jace, e questo era tutto ciò di cui aveva mai avuto bisogno e voluto: anche se significava essere la stella nera della supernova di qualcun’altro. Ma quello era un posto dove Jace non poteva accompagnarlo, qualcosa in cui Jace non poteva aiutarlo. “Sicuro.”
La sua mano destra divenne immediatamente bollente. Guardò in basso, e realizzò che in mano aveva un bicchiere di plastica cerata proveniente da Joe, l’Arte del Caffè. Profumava di chai (aroma orientale n.d.t.). Sobbalzò, e per miracolo non si verso il caffè addosso. “Per l’Angelo…”
“AMO questa espressione,” disse Magnus. “E’ così pittoresca.”
Alec lo fissò. “Hai rubato questo tè?”
Magnus ignorò la domanda. “Dunque,” disse. “Perchè sei venuto qui?”
Alec prese un sorso del tè rubato. “Volevo ringraziarti,” disse, quando aprì la bocca per respirare. “Per avermi salvato la vita.”
Magnus is appoggiò sulle mani. La sua maglietta scoprì parte del suo stomaco piatto, e questa volta Alec non ebbe nessun altro posto dove guardare. “Volevi ringraziarmi.”
“Mi hai salvato la vita,” disse Alec, di nuovo. “Ma stavo delirando, e non penso di averti davvero ringraziato. So che non era tuo dovere farlo. Quindi, grazie.”
Le sopracciglia di Magnus scomparirono tra I suoi capelli. “Bè. . . Di niente?”
Alec mise giù il suo tè. “Forse è meglio che vada.”
Magnus si mise a sedere. “Dopo aver fatto tanta strada? Da Brooklyn? Solo per ringraziarmi?” Stava sorridendo. “Questo sì che sarebbe uno sforzo inutile.” Allungò la mano e la posò sulla guancia di Alec, il pollice accarezzò il suo zigomo. Il suo tocco era come fuoco, formava dei riccioli di brillantini lungo la scia che il suo dito lasciava. Alec si sentì congelare per la sorpresa — sorpresa per il gesto, e sorpresa per l’effetto che questo stava avendo su di lui. Magnus strinse gli occhi e abbassò la mano. “Huh,” disse a se stesso.
“Cosa?” Alec, di colpo, si preoccupò di aver fatto qualcosa di sbagliato. “Cosa c’è?”
“E’ solo che tu…” Un ombra si mosse da dietro Magnus e, con fluida agilità, lo stregone si voltò appena e tirò su un piccolo gatto soriano grigio e bianco dal pavimento. Il gatto si acciambellò nella piega delle sue braccia e guardò Alec con sospetto. Ora due paia di occhi grigio-dorati lo stavano osservando cupamente. “Non sei come mi aspettavo.”
“Cosa ti aspettavi da uno Shadowhunter, intendi?”
“Da un Lightwood.”
“Non sapevo conoscessi così bene la mia famiglia.”
“Conosco la tua famiglia da centinaia di anni.” Gli occhi di Magnus cercarono il suo sguardo. “Ora tua sorella, lei è una Lightwood. Tu…”
“Ha detto che ti piacevo.”
“Cosa?”
“Izzy. Mia sorella. Ha detto che ti piacevo. Ti PIACEVO, ti piacevo.”
“Mi PIACEVI, mi piacevi?” Magnus seppellì il suo sorriso nella pelliccia del gatto. “Scusa. Abbiamo di nuovo dodici anni adesso? Non ricordo di aver detto nulla a Isabelle . . .”
“Lo ha detto anche Jace.” Alec fu diretto; era l’unico modo di essere che conosceva. “Che ti piacevo. Che quando era tornato qui, tu pensavi fossi io ed eri deluso dal fatto che fosse lui. Questo non succede mai.”
“Ah no? Bè, dovrebbe.”
Alec era spaventato. “No. . . Voglio dire Jace, lui è . . . Jace.”
“Lui è tutto un problema,” disse Magnus. “Ma tu sei così vero, così genuino. Cosa che, in un Lightwood, è un contro senso. Siete sempre stata una famiglia piena di complotti, come una Borgia a basso pagamento. Ma non c’è menzogna sul tuo volto. Ho la sensazione che tutto ciò che dici sia onesto e diretto.”
Alec si sporse. “Vuoi uscire con me?”
Magnus ammiccò. “Vedi, Ecco quello che voglio dire. Diretto.”
Alec si morse il labbro ma non disse nulla.
“Perchè vuoi uscire con me?” domandò Magnus. Stava grattando la testa al Presidente Miao, le sue lunghe dita piegavano in giù le orecchie del gatto. “Non che io non sia altamente desiderabile, ma il modo in cui lo hai chiesto, sembrava come se stessi avendo un colpo. . .”
“Lo voglio e basta,” rispose Alec. “E pensavo di piacerti, quindi avresti detto di sì, così avrei potuto provare — voglio dire, avremmo potuto provare. . .” Si prese la testa con le mani. “Forse tutto questo è stato un errore.”
La voce di Magnus era gentile. “Qualcuno sa che sei gay?”
Il capo di Alec ebbe un fremito; si accorse di stare respirando forte, come se avesse fatto una gara di corsa. Ma cosa poteva fare, negarlo? Quando era andato là a fare l’esatto contrario? “Clary,” disse, con voce roca. “Che è stato . . . che lo ha scoperto per sbaglio. E Izzy, che non lo direbbe mai a nessuno.”
“Non I tuoi genitori, quindi. Nemmeno Jace?”
Alec pensò a Jace, Jace che sapeva, e respinse il pensiero con durezza e velocità. “No. No, e non voglio che lo sappiano, specialmente Jace.”
“Penso che potresti dirglielo.” Magnus accarezzò il Presidente Miao sotto il mento. “Era a pezzi come un puzzle disfatto quando pensava stessi per morire. Gli importa. . .”
“Preferisco di no.” Alec stava ancora respirando velocemente. Si afferrò le ginocchia dei Jeans con I pugni. “Non ho mai avuto un appuntamento,” disse a voce bassa. “Mai baciato nessuno. Mai. Izzy ha detto che ti piacevo e avevo pensato. . .”
“Non è per essere antipatico. Ma almeno io ti piaccio? Perchè questa cosa dell’essere gay non significa che devi buttarti via con ogni ragazzo che incontri e andrà sempre bene perché non è una ragazza. Ci saranno ancora persone che ti piacciono e persone che non ti piacciono.”
Alec pensò alla sua camera all’Istituto, a quando stava delirando per il dolore e il veleno, e poi Magnus era arrivato. Lo aveva a malapena riconosciuto. Era abbastanza sicuro di aver urlato perchè i suoi genitori, Jace o Izzy lo aiutassero, ma la sua voce era venuta fuori come un sussurro. Ricordava la mano di Magnus su di lui, le sue dita fresche e gentili. Ricordava la presa stretta che aveva mantenuto sul polso di Magnus, per ore ed ore, anche quando il dolore era passato e sapeva che sarebbe andato tutto bene. Ricordava di aver guardato il viso di Magnus alla luce del sole nascente, l’oro dei raggi del sole brillare dorato attraverso I suoi occhi, e di aver pensato quanto fosse stravagantemente bello, con quel suo sguardo e quella grazia da gatto.
“Si,” disse Alec “Tu mi piaci.”
Incrociò direttamente lo sguardo di Magnus. Lo stregone lo stava guardando con una sorta di miscuglio di curiosità, affetto e perplessità. “E’ così strano,” disse Magnus. “Genetico. I tuoi occhi, quel colore. . .” Si fermò e scosse la testa.
“I Lightwood che conoscevi tu non avevano gli occhi blu?”
“Mostri dagli occhi verdi,” rispose Magnus, and ghignò. Depositò il Presidente Miao a terra e il gatto si avvicinò ad Alec, strusciandosi contro la sua gamba. “Al Presidente piaci.”
“E’ un bene?”
“Non esco con nessuno che non piace al mio gatto,” Commentò Magnus, semplicemente, e si alzò in piedi. “Quindi diciamo. . . venerdì sera?”
Alec percepì un onda di sollievo attraversarlo. “Davvero? Vuoi uscire con me?”
Magnus scosse la testa. “Devi smetterla di comportarti come se fosse così difficile da credere, Alexander. Rende le cose difficili.” Sorrise. Aveva un sorriso come quello di Jace. . . non che quei due si assomigliassero, ma quella specie di sorriso gli illuminava tutto il viso. “Andiamo, ti accompagno fuori.”
Alec si trascinò dietro Magnus verso la porta di fronte, sentendosi come se gli fosse stato tolto un peso dalle spalle, un peso che non sapeva nemmeno di stare portando. Ovviamente avrebbe dovuto trovare una scusa per spiegare dove sarebbe andato venerdì sera, qualcosa alla quale Jace non avrebbe voluto partecipare, qualcosa che avrebbe avuto bisogno di fare da solo. Oppure avrebbe potuto fingersi malato e squagliarsela. Era così perso nei suoi pensieri che stava quasi per andare a sbattere contro la porta, che Magnus stava aprendo, guardandolo con gli occhi stretti a mezzaluna.
“Cosa c’è?” Chiese Alec.
“Mai baciato nessuno?” domandò Magnus. “Proprio nessuno?”
“No,” Rispose Alec, Sperando che questo non lo squalificasse dall’essere degno-di-appuntamento. “Non un vero bacio. . .”
“Vieni qui.” Magnus lo prese per I gomiti e lo tirò vicino a lui. Per un momento Alec fu completamente disorientato dalla sensazione di essere così vicino a qualcuno così diverso dal tipo di persona al quale avrebbe voluto essere vicino per tanto tempo. Magnus era alto e magro, ma non pelle e ossa nè gracile; il suo corpo era sodo, le sue braccia avevano muscoli lievi, ma erano forti; era all’incirca due o tre centimetri più alto di Alec, il che succedeva raramente, inoltre loro due si incastravano perfettamente. Un dito di Magnus era sotto il mento di Alec, tirandogli sù il volto, e subito dopo si stavano baciando. Alec sentì un sospiro trattenuto a fatica provenire dalla sua gola e subito dopo le loro bocche erano permute insieme con una sorta di urgenza controllata. Magnus, pensò Alec stordito, decisamente sapeva quello che stava facendo. Le sue labbra erano morbide, e separarono abilmente quelle di Alec , esplorando la sua bocca: una sinfonia di labbra, denti, lingua, ogni movimento svegliava un nervo che Alec non aveva mai saputo di possedere.
Trovò la vita di Magnus con le dita, toccando la striscia di pelle nuda che aveva evitato di guardare poco prima, e facendo scivolare le mani sotto la maglietta di Magnus. Magnus si irrigidì per la sorpresa, poi si rilassò, le sue mani correvano sulle braccia di Alec, sul suo petto, la sua vita, trovando i passanti della cintura dei jeans di Alec e usandoli per avvicinarlo a lui. La sua bocca lasciò quella di Alec e quest’ultimo sentì la pressione calda di quella di Magnus sulla sua gola, dove la pelle era così sensibile che sembrava direttamente connessa alle ossa delle sue gambe, che stavano per cedere. Appena prima che cadesse a terra, Magnus lo lasciò andare. I suoi occhi brillavano, e così anche la sua bocca.
“Adesso sei stato baciato,” disse, e si mise dietro Alec, strattonando la porta per aprirla. “Ci vediamo venerdì?”
Alec tossicchiò per pulirsi la gola. Si sentiva le vertigini, ma allo stesso tempo si sentiva incredibilmente vivo — il sangue correva furioso nelle sue vene come traffico ad alta velocità, sembrava tutto troppo brillante, acceso e colorato. Appena oltrepassò la porta, si giro e guardò Magnus, che lo stava fissando confuso. Si avvicinò quindi a lui, lo afferrò per il davanti della maglietta e tirò lo stregone verso sè. Magnus inciampò contro di lui, e Alec lo baciò, forte e velocemente, confusamente ed in maniera inesperta, ma con tutto ciò che aveva. Premette Magnus contro di lui, soltanto le sue mani tra lui e lo stregone, e sentì il cuore di Magnus balbettare nel suo petto.
Interruppe il bacio e si ritrasse.
“Venerdì,” disse, e lasciò la presa su Magnus. Indietreggiò, nel pianerottolo, mentre Magnus lo guardava. Lo stregone incrociò le braccia sulla maglietta — stropicciata dove Alec la aveva afferrata — e scosse la testa, sorridendo.
“Lightwood,” commentò Magnus. “Vogliono sempre avere l’ultima parola.”
Chiuse la porta dietro di lui, e Alec corse giù per le scale, facendo due gradini alla volta, mentre il suo cuore ancora cantava nelle sue orecchie come musica."
In piedi nella tromba delle scale della casa di Magnus, Alec fissava il nome scritto sotto il campanello, sul muro. BANE. Tale nome non sembra proprio rappresentare Magnus, pensò, non ora che lo conosceva. Certo, se davvero potevi dire di conoscere qualcuno quando avevi partecipato a una delle sue feste, una volta, e poi ti aveva salvato la vita, praticamente sparendo in seguito senza poter essere ringraziato. In ogni caso il nome Magnus Bane all’epoca lo aveva fatto pensare a una figura torreggiante, con delle enormi spalle e una tipica tunica viola da stregone, che scatenava fuoco e fulmini. Decisamente poco Magnus che, in realtà, sembrava più un incrocio tra una pantera e un elfo impazzito.
Alec fece un respiro profondo e poi espirò. Bè, aveva fatto tutta quella strada; ormai doveva andare avanti. La lampadina spoglia penzolante sopra la sua testa creava immense ombre scure, così, alla fine, Alec raccolse tutto il suo coraggio e suonò il campanello.
Un momento dopo una voce echeggiò giù per la tromba delle scale. “CHI OSA DISTURBARE L’ALTISSIMO STREGONE?”
“Er,” Disse Alec. “Sono io. Cioè, sono Alec. Alec Lightwood.”
Ci fu una sorta di silenzio, come se anche il corridoio fosse rimasto sorpreso. Poi un tintinnio, e la seconda porta si aprì, lasciandolo uscire dalla tromba delle scale. Salì i traballanti gradini in mezzo all’oscurità, che puzzava di pizza e polvere. Il secondo piano dove approdò, invece, era luminoso, la porta alla fine di esso aperta. Magnus Bane se ne stava appoggiato all’entrata.
Comparato alla prima volta in cui Alec lo aveva visto, Magnus sembrava piuttosto normale. I suoi capelli neri erano ancora sparati in aria, divisi in punte, e sembrava assonnato; il suo viso, anche con i suoi occhi da gatto, era ancora veramente giovane. Indossava una maglietta nera con su scritto “UN MILIONE DI DOLLARI” ricamata con delle paillettes sul petto, e jeans bassi sui fianchi, bassi abbastanza da far sì che Alec guardasse altrove, precisamente in basso, verso le sue scarpe. Una cosa noiosa.
“Alexander Lightwood,” disse Magnus. Aveva solo il fantasma di uno strano accento, uno che Alec non riusciva ad identificare, una nota sulle vocali. “A cosa devo il piacere?”
Alec guardò dietro Magnus. “Hai… compagnia?”
Magnus incrociò le braccia, il che faceva decisamente notare i suoi bicipiti, e si appoggiò al lato della porta. “Perchè vuoi saperlo?”
“Speravo che sarei potuto entrare e avrei potuto parlare un po’ con te.”
“Hmmm.” Gli occhi di Magnus lo guardarono dall’alto in basso. Brillavano davvero al buio, come quelli di un gatto. “Bè, va bene allora.” Si voltò rapidamente e sparì nell’appartamento; dopo un momento di paura, Alec lo seguì.
L’appartamento sembrava diverso senza un centinaio di corpi agitati dentro di esso. Sembrava. . .bè, non ordinario, ma un posto in cui qualcuno avrebbe quasi potuto vivere. Come la maggior parte degli appartamenti, aveva una grande stanza centrale divisa in molteplici “stanze” da gruppi di mobili. C’era un insieme di divani e tavoli alla destra, dove Magnus gli fece cenno di avviarsi. Alec si sedette su una poltrona di velluto dorato con delle eleganti intarsiature di legno nei braccioli.
“Ti và del tè?” domandò Magnus. Lui non era seduto su una sedia, ma si era disteso su un taft ottomano, le sue lunghe gambe distese dinanzi a lui.
Alec annuì. Si sentiva incapace di dire qualsiasi cosa. Nulla di interessante o intelligente, per lo meno. Era sempre stato Jace a dire quel genere di cose. Alec era il parabataio di Jace, e questo era tutto ciò di cui aveva mai avuto bisogno e voluto: anche se significava essere la stella nera della supernova di qualcun’altro. Ma quello era un posto dove Jace non poteva accompagnarlo, qualcosa in cui Jace non poteva aiutarlo. “Sicuro.”
La sua mano destra divenne immediatamente bollente. Guardò in basso, e realizzò che in mano aveva un bicchiere di plastica cerata proveniente da Joe, l’Arte del Caffè. Profumava di chai (aroma orientale n.d.t.). Sobbalzò, e per miracolo non si verso il caffè addosso. “Per l’Angelo…”
“AMO questa espressione,” disse Magnus. “E’ così pittoresca.”
Alec lo fissò. “Hai rubato questo tè?”
Magnus ignorò la domanda. “Dunque,” disse. “Perchè sei venuto qui?”
Alec prese un sorso del tè rubato. “Volevo ringraziarti,” disse, quando aprì la bocca per respirare. “Per avermi salvato la vita.”
Magnus is appoggiò sulle mani. La sua maglietta scoprì parte del suo stomaco piatto, e questa volta Alec non ebbe nessun altro posto dove guardare. “Volevi ringraziarmi.”
“Mi hai salvato la vita,” disse Alec, di nuovo. “Ma stavo delirando, e non penso di averti davvero ringraziato. So che non era tuo dovere farlo. Quindi, grazie.”
Le sopracciglia di Magnus scomparirono tra I suoi capelli. “Bè. . . Di niente?”
Alec mise giù il suo tè. “Forse è meglio che vada.”
Magnus si mise a sedere. “Dopo aver fatto tanta strada? Da Brooklyn? Solo per ringraziarmi?” Stava sorridendo. “Questo sì che sarebbe uno sforzo inutile.” Allungò la mano e la posò sulla guancia di Alec, il pollice accarezzò il suo zigomo. Il suo tocco era come fuoco, formava dei riccioli di brillantini lungo la scia che il suo dito lasciava. Alec si sentì congelare per la sorpresa — sorpresa per il gesto, e sorpresa per l’effetto che questo stava avendo su di lui. Magnus strinse gli occhi e abbassò la mano. “Huh,” disse a se stesso.
“Cosa?” Alec, di colpo, si preoccupò di aver fatto qualcosa di sbagliato. “Cosa c’è?”
“E’ solo che tu…” Un ombra si mosse da dietro Magnus e, con fluida agilità, lo stregone si voltò appena e tirò su un piccolo gatto soriano grigio e bianco dal pavimento. Il gatto si acciambellò nella piega delle sue braccia e guardò Alec con sospetto. Ora due paia di occhi grigio-dorati lo stavano osservando cupamente. “Non sei come mi aspettavo.”
“Cosa ti aspettavi da uno Shadowhunter, intendi?”
“Da un Lightwood.”
“Non sapevo conoscessi così bene la mia famiglia.”
“Conosco la tua famiglia da centinaia di anni.” Gli occhi di Magnus cercarono il suo sguardo. “Ora tua sorella, lei è una Lightwood. Tu…”
“Ha detto che ti piacevo.”
“Cosa?”
“Izzy. Mia sorella. Ha detto che ti piacevo. Ti PIACEVO, ti piacevo.”
“Mi PIACEVI, mi piacevi?” Magnus seppellì il suo sorriso nella pelliccia del gatto. “Scusa. Abbiamo di nuovo dodici anni adesso? Non ricordo di aver detto nulla a Isabelle . . .”
“Lo ha detto anche Jace.” Alec fu diretto; era l’unico modo di essere che conosceva. “Che ti piacevo. Che quando era tornato qui, tu pensavi fossi io ed eri deluso dal fatto che fosse lui. Questo non succede mai.”
“Ah no? Bè, dovrebbe.”
Alec era spaventato. “No. . . Voglio dire Jace, lui è . . . Jace.”
“Lui è tutto un problema,” disse Magnus. “Ma tu sei così vero, così genuino. Cosa che, in un Lightwood, è un contro senso. Siete sempre stata una famiglia piena di complotti, come una Borgia a basso pagamento. Ma non c’è menzogna sul tuo volto. Ho la sensazione che tutto ciò che dici sia onesto e diretto.”
Alec si sporse. “Vuoi uscire con me?”
Magnus ammiccò. “Vedi, Ecco quello che voglio dire. Diretto.”
Alec si morse il labbro ma non disse nulla.
“Perchè vuoi uscire con me?” domandò Magnus. Stava grattando la testa al Presidente Miao, le sue lunghe dita piegavano in giù le orecchie del gatto. “Non che io non sia altamente desiderabile, ma il modo in cui lo hai chiesto, sembrava come se stessi avendo un colpo. . .”
“Lo voglio e basta,” rispose Alec. “E pensavo di piacerti, quindi avresti detto di sì, così avrei potuto provare — voglio dire, avremmo potuto provare. . .” Si prese la testa con le mani. “Forse tutto questo è stato un errore.”
La voce di Magnus era gentile. “Qualcuno sa che sei gay?”
Il capo di Alec ebbe un fremito; si accorse di stare respirando forte, come se avesse fatto una gara di corsa. Ma cosa poteva fare, negarlo? Quando era andato là a fare l’esatto contrario? “Clary,” disse, con voce roca. “Che è stato . . . che lo ha scoperto per sbaglio. E Izzy, che non lo direbbe mai a nessuno.”
“Non I tuoi genitori, quindi. Nemmeno Jace?”
Alec pensò a Jace, Jace che sapeva, e respinse il pensiero con durezza e velocità. “No. No, e non voglio che lo sappiano, specialmente Jace.”
“Penso che potresti dirglielo.” Magnus accarezzò il Presidente Miao sotto il mento. “Era a pezzi come un puzzle disfatto quando pensava stessi per morire. Gli importa. . .”
“Preferisco di no.” Alec stava ancora respirando velocemente. Si afferrò le ginocchia dei Jeans con I pugni. “Non ho mai avuto un appuntamento,” disse a voce bassa. “Mai baciato nessuno. Mai. Izzy ha detto che ti piacevo e avevo pensato. . .”
“Non è per essere antipatico. Ma almeno io ti piaccio? Perchè questa cosa dell’essere gay non significa che devi buttarti via con ogni ragazzo che incontri e andrà sempre bene perché non è una ragazza. Ci saranno ancora persone che ti piacciono e persone che non ti piacciono.”
Alec pensò alla sua camera all’Istituto, a quando stava delirando per il dolore e il veleno, e poi Magnus era arrivato. Lo aveva a malapena riconosciuto. Era abbastanza sicuro di aver urlato perchè i suoi genitori, Jace o Izzy lo aiutassero, ma la sua voce era venuta fuori come un sussurro. Ricordava la mano di Magnus su di lui, le sue dita fresche e gentili. Ricordava la presa stretta che aveva mantenuto sul polso di Magnus, per ore ed ore, anche quando il dolore era passato e sapeva che sarebbe andato tutto bene. Ricordava di aver guardato il viso di Magnus alla luce del sole nascente, l’oro dei raggi del sole brillare dorato attraverso I suoi occhi, e di aver pensato quanto fosse stravagantemente bello, con quel suo sguardo e quella grazia da gatto.
“Si,” disse Alec “Tu mi piaci.”
Incrociò direttamente lo sguardo di Magnus. Lo stregone lo stava guardando con una sorta di miscuglio di curiosità, affetto e perplessità. “E’ così strano,” disse Magnus. “Genetico. I tuoi occhi, quel colore. . .” Si fermò e scosse la testa.
“I Lightwood che conoscevi tu non avevano gli occhi blu?”
“Mostri dagli occhi verdi,” rispose Magnus, and ghignò. Depositò il Presidente Miao a terra e il gatto si avvicinò ad Alec, strusciandosi contro la sua gamba. “Al Presidente piaci.”
“E’ un bene?”
“Non esco con nessuno che non piace al mio gatto,” Commentò Magnus, semplicemente, e si alzò in piedi. “Quindi diciamo. . . venerdì sera?”
Alec percepì un onda di sollievo attraversarlo. “Davvero? Vuoi uscire con me?”
Magnus scosse la testa. “Devi smetterla di comportarti come se fosse così difficile da credere, Alexander. Rende le cose difficili.” Sorrise. Aveva un sorriso come quello di Jace. . . non che quei due si assomigliassero, ma quella specie di sorriso gli illuminava tutto il viso. “Andiamo, ti accompagno fuori.”
Alec si trascinò dietro Magnus verso la porta di fronte, sentendosi come se gli fosse stato tolto un peso dalle spalle, un peso che non sapeva nemmeno di stare portando. Ovviamente avrebbe dovuto trovare una scusa per spiegare dove sarebbe andato venerdì sera, qualcosa alla quale Jace non avrebbe voluto partecipare, qualcosa che avrebbe avuto bisogno di fare da solo. Oppure avrebbe potuto fingersi malato e squagliarsela. Era così perso nei suoi pensieri che stava quasi per andare a sbattere contro la porta, che Magnus stava aprendo, guardandolo con gli occhi stretti a mezzaluna.
“Cosa c’è?” Chiese Alec.
“Mai baciato nessuno?” domandò Magnus. “Proprio nessuno?”
“No,” Rispose Alec, Sperando che questo non lo squalificasse dall’essere degno-di-appuntamento. “Non un vero bacio. . .”
“Vieni qui.” Magnus lo prese per I gomiti e lo tirò vicino a lui. Per un momento Alec fu completamente disorientato dalla sensazione di essere così vicino a qualcuno così diverso dal tipo di persona al quale avrebbe voluto essere vicino per tanto tempo. Magnus era alto e magro, ma non pelle e ossa nè gracile; il suo corpo era sodo, le sue braccia avevano muscoli lievi, ma erano forti; era all’incirca due o tre centimetri più alto di Alec, il che succedeva raramente, inoltre loro due si incastravano perfettamente. Un dito di Magnus era sotto il mento di Alec, tirandogli sù il volto, e subito dopo si stavano baciando. Alec sentì un sospiro trattenuto a fatica provenire dalla sua gola e subito dopo le loro bocche erano permute insieme con una sorta di urgenza controllata. Magnus, pensò Alec stordito, decisamente sapeva quello che stava facendo. Le sue labbra erano morbide, e separarono abilmente quelle di Alec , esplorando la sua bocca: una sinfonia di labbra, denti, lingua, ogni movimento svegliava un nervo che Alec non aveva mai saputo di possedere.
Trovò la vita di Magnus con le dita, toccando la striscia di pelle nuda che aveva evitato di guardare poco prima, e facendo scivolare le mani sotto la maglietta di Magnus. Magnus si irrigidì per la sorpresa, poi si rilassò, le sue mani correvano sulle braccia di Alec, sul suo petto, la sua vita, trovando i passanti della cintura dei jeans di Alec e usandoli per avvicinarlo a lui. La sua bocca lasciò quella di Alec e quest’ultimo sentì la pressione calda di quella di Magnus sulla sua gola, dove la pelle era così sensibile che sembrava direttamente connessa alle ossa delle sue gambe, che stavano per cedere. Appena prima che cadesse a terra, Magnus lo lasciò andare. I suoi occhi brillavano, e così anche la sua bocca.
“Adesso sei stato baciato,” disse, e si mise dietro Alec, strattonando la porta per aprirla. “Ci vediamo venerdì?”
Alec tossicchiò per pulirsi la gola. Si sentiva le vertigini, ma allo stesso tempo si sentiva incredibilmente vivo — il sangue correva furioso nelle sue vene come traffico ad alta velocità, sembrava tutto troppo brillante, acceso e colorato. Appena oltrepassò la porta, si giro e guardò Magnus, che lo stava fissando confuso. Si avvicinò quindi a lui, lo afferrò per il davanti della maglietta e tirò lo stregone verso sè. Magnus inciampò contro di lui, e Alec lo baciò, forte e velocemente, confusamente ed in maniera inesperta, ma con tutto ciò che aveva. Premette Magnus contro di lui, soltanto le sue mani tra lui e lo stregone, e sentì il cuore di Magnus balbettare nel suo petto.
Interruppe il bacio e si ritrasse.
“Venerdì,” disse, e lasciò la presa su Magnus. Indietreggiò, nel pianerottolo, mentre Magnus lo guardava. Lo stregone incrociò le braccia sulla maglietta — stropicciata dove Alec la aveva afferrata — e scosse la testa, sorridendo.
“Lightwood,” commentò Magnus. “Vogliono sempre avere l’ultima parola.”
Chiuse la porta dietro di lui, e Alec corse giù per le scale, facendo due gradini alla volta, mentre il suo cuore ancora cantava nelle sue orecchie come musica."
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Questi due mi sono sempre piaciuti tantissimo! Magnus lo adoro, chi non perderebbe la testa per lui?! E Alec..fantastico, timido e impacciato al primo bacio e così intraprendente e appassionato al secondo.
RispondiEliminaSanta Clare..bellissimo il modo in cui ha descritto il momento! Emozionante!
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