Con un giorno di ritardo, ritorna la rubrica "Ritratto di Signora".
Oggi toccherà alla sottoscritta intrattenervi con un nuovo post, che spero possa piacervi.. io ho profondamente amato scriverlo.
"Come ormai avrete capito, voi che mi seguite da un po’ di
tempo, la fotografia è una delle mie passioni.
Poter fermare un momento in un frammento fotografico è
qualcosa di veramente unico, lascia un’impronta e permette a noi stessi di
ricordare cose del passato, momenti belli o brutti che siano.
Ci sono poi immagini che rimangono scolpite nella mente
delle persone, fotografie famose in tutto il mondo ed è proprio qui che inizia
questa storia.
Era una splendida mattina assolata, e mentre aspettavo che
la mia dolce metà finisse di far colazione mi ritrovai a sfogliare un libro di
fotografia.
A dire la verità era stata la copertina del libro ad
attirare la mia attenzione, d’altra parte con un viso del genere era
praticamente impossibile non rimanere folgorati.
Da quel giorno, sperduti in un ranch Canadese, in cui
stavamo passando la nostra Luna di Miele, la mia passione (o ossessione
chiamatela come volete) per questa immagine è cresciuta a dismisura.
Più guardavo la foto, più mi chiedevo chi fosse quella
giovane ragazza. I suoi occhi fieri sembravano sfidarmi, e mi chiedevo quale
fosse la sua vera storia.
Le poche parole che accompagnavano la foto (scattata dal
gradissimo fotografo del National Geographic, Steve McCurry) parlavano di lei
come una giovane profuga Afghana.
Il fotografo l’aveva incontrata, nel 1984, in un campo profughi a Nasir Bagh in
Pakistan, vicino alla città di Peshawar; campo che ospitava i rifugiati fuggiti
dall'Afghanistan occupato dai sovietici.
Al momento dello scatto la ragazza doveva avere circa dodici anni, era orfana
ed era riuscita a raggiungere il campo con la nonna e i fratelli.
Poche righe che non rendevano giustizia a quel viso. Inutile
dire che volevo saperne di più.
Il bello di questa storia, è che tutto il mondo era rimasto folgorato da
quell’immagine. Quando uscì per la prima volta (nel 1985) sulla copertina del
National Geographic tutti si chiesero chi fosse veramente quella ragazza, e
soprattutto cosa ne fosse stato di lei.
In un paese perennemente in conflitto quante possibilità
c’erano di riuscire a ritrovarla e scoprire di più sulla sua storia?
Nel 2002, esattamente un anno dopo il mio viaggio di nozze,
Steve McCurry e il National Geographic decisero di intraprendere una nuova
spedizione per ritrovare “la ragazza Afghana”.
Non era un periodo facile, non lo è tutt’ora per quei
luoghi. La ferita lasciata dagli eventi dell’Undici Settembre era troppo fresca
e il mondo guardava a quel paese come al luogo di tutti i mali del pianeta.
Eppure, tra diffidenza, disperazione e guerra, una giovane donna stava per essere
ritrovata.
Il giorno in cui vidi la nuova copertina del National
Geographic rimasi scioccata. Avevo seguito la vicenda, ma non ero pronta a
quello che avrei visto sfogliando il giornale.
Mi ricordo che tornai a casa con il giornale stretto tra le
mani. Era arrivato il momento di saperne di più su di lei, chi era veramente,
cosa aveva fatto in tutti quegli anni? Così arrivata a casa mi accoccolai sul
divano pronta a leggere l’articolo, che tanto avevo atteso.
Prima di tutto, devo dire che la redazione del National
Geographic ha fatto diversi esami per essere sicura di aver trovato la persona
giusta. Tra questi, l’articolo iniziale parlava di un esame dell’iride, che è
un po’ come quello delle impronte digitali.. non c’erano dubbi, la donna che
Steve McCurry aveva ritrovato era proprio la stessa ragazza.
Con un timore quasi reverenziale, guardai per la prima volta
il viso di Sharbat Gula, quasi vent’anni dopo il primo scatto.
McCurry, e la troupe del National Geographic, erano riusciti
a trovarla grazie ad un uomo che l’aveva riconosciuta. Sharbat aveva vissuto
per anni nel campo profughi, insieme ai fratelli, e poi era riuscita a tornare
nella sua terra di origine e viveva insieme al marito e ai figli sulle
montagne.
Credo che sia stato scioccante per McCurry trovarsi di
fronte una donna completamente diversa da quella fotografata tanti anni prima.
Per me lo è stato, tanto che inizialmente mi ero convinta che non fossero la
stessa persona.
In occasione di una mostra, qualche anno dopo mi sono recata
a Modena per vedere con i miei occhi quelle fotografie.
Osservando le foto a grandezza umana, alla fine mi sono
convinta. La persona fotografata nel 2002 è la stessa del 1984. Il problema vero, è ciò che questa donna ha
dovuto passare negli anni.
La condizione della donna Afghana, sotto il regime
talebano, è sicuramente una delle più
difficili da comprendere. Queste sono solo alcune delle restrizioni a cui
vengono sottoposte:
- Completo divieto per le donne di lavorare fuori di casa,
il che vale anche per insegnanti , ingegneri e la maggior parte dei
professionisti. Solo alcune donne medico e infermiere hanno il permesso di
lavorare in alcuni ospedali a Kabul.
- Completo divieto per le donne di attività fuori della casa
se non accompagnate da un mahram (parente stretto come un padre, un fratello o
un marito)
- Frustate in pubblico per le donne che non hanno le
caviglie coperte.
- Lapidazione pubblica per le donne accusate di avere
relazioni sessuali al di fuori del matrimonio.
- Divieto per le donne di ridere ad alta voce.
- Divieto per le donne di indossare vestiti colorati
vivaci.
- Pittura obbligatoria di tutte le finestre cosicchè le
donne non possano essere viste da fuori delle loro case.
Ne avrei tante altre da scrivere, ma credo che queste siano
più che sufficienti a descrivere il mondo in cui una donna come Sharbat è
cresciuta. Se a questo aggiungete un paese perennemente in guerra, è facile
capire come quello sguardo fiero si sia trasformato in quello che vediamo nelle
foto sopra riportate.
Non è facile per me parlare di questi argomenti, non giudico
nessuno, ma al tempo stesso mi è sempre stato insegnato che in quanto persona
io posso esprimere il mio parere su ogni argomento. Posso vestire come meglio
mi aggrada, ho avuto la possibilità di studiare e di formare una mia
personalità.
In questi ultimi anni, per fortuna, ci sono associazioni che
stanno lavorando sul campo Afghano, per permettere alle donne di emanciparsi,
di trovare una loro posizione e soprattutto per non dover più guardare negli
occhi una donna come Sharbat e leggervi quel velo di tristezza infinita.
A queste donne coraggiose, va tutta la mia stima. A loro
dico di non arrendersi e di continuare a credere che un futuro migliore può
nascere, se lo si vuole e ci si crede.
Il mio ultimo pensiero va alla giovane Sharbat, a quella
ragazzina inconsapevole che si è lasciata fotografare in un campo profughi. A
lei che si è arrabbiata quando ha rivisto la sua foto per la prima volta
vent’anni dopo, perché i vestiti erano sciupati, a lei che con i suoi occhi ha
ispirato milioni di persone, alla donna che poteva essere e alle nuove
generazioni che verranno.. spero in un futuro luminoso per tutte loro.
Al prossimo mese.
Monica, Daniela, Miki, Franci, Federica
una delle cose ancora più inconcepibile (come se non fosse abbastanza) e che in caso di violenza sessuale subita vengano accusate di adulterio. Io proprio non riesco a capire come si possa arrivare a questi punti...
RispondiEliminaCome sempre, zia mia, le tue parole mi emozionano tantissimo. Si percepisce chiaramente il tuo coinvolgimento nella storia ed è stato bellissimo saperne di più.
RispondiEliminaLa cosa che rattrista me, anche se forse non è la parola più adatta, è la differenza nello sguardo. Mi sembra inquieto ma vivo quello della ragazza, accigliato, duro e rassegnato quello della donna. Ed è una cosa che fa male.
Grazie.
Pelle d'oca! Brrrr Monica, fa sempre un gran brutto effetto leggere certe storie.
RispondiEliminaLa differenza è netta, direi anch'io che è praticamente irriconoscibile: negli occhi della ragazzina io vedo una gran paura, in quelli della donna vedo solo tristezza e rassegnazione.
Leggi assurde e da pazzi.. è aberrante pensare che quel tipo di cultura le consideri giuste.
Complimenti Monica per questo bel Ritratto di Signora.
Sono felice che il post vi sia piaciuto, era tanto che volevo parlare di lei.
RispondiEliminaIl viso di questa donna è sempre stato di grande ispirazione per me, fin tanto che non mi sono trovata tra le mani le foto dopo 20 anni dal primo scatto. Purtroppo la vita a volte, tende a spegnere quella scintilla che ci da la forza di andare avanti.. ed è triste. Sono comunque felice che associazioni come Pangea si stiano lavorando sul campo per dare un futuro migliore a queste donne.
Splendido post. Lo sguardo di quella ragazzina è di un'intensità unica. Purtroppo non è difficile capire perché sia tanto cambiato.
RispondiEliminaBellissimo ritratto Monica!
Wow Monica che bel post! Me l'ero perso!
RispondiEliminaChe dire... vedere la foto del prima e del dopo è davvero angosciante °__° sembrano due persone completamente diverse... la fierezza, la sfida, la freschezza della prima foto sembrano svanite nel volto adulto della donna :(
Nemmeno a me piace giudicare, ma questo tipo di cultura comunque non lo capisco e non lo capirò mai :/