Buongiorno a tutti e buon primo Lunedì del mese!
Come tutti i mesi oggi è il turno di "Ritratto di Signora" e oggi avremo un ospite speciale! Infatti sarà il fidanzato della nostra Miki, Toni, a presentarci un nuovo ritratto! Lascio subito a lui la parola!
"Quando la mia fidanzata mi ha proposto di scrivere un
articolo per la rubrica, sono quasi svenuto.
Superato lo shock iniziale, una figura, una sola, chiara ed
inequivocabile, mi si è presentata davanti agli occhi, una figura di
grandissimo valore storico, pari, e non credo di esagerare affermandolo, al suo
corrispettivo maschile, ma di cui si è parlato troppo poco, a cui raramente
sono stati riconosciuti meriti, innegabili dal mio punto di vista, per il
contributo portato alla lotta per la liberazione del nostro Paese dalla piaga
nazifascista. Le donne partigiane.
Queste donne, alcune giovanissime, altre meno, hanno vinto
una guerra senza sparare un colpo di fucile, sempre presenti negli scontri, pur
non affrontando direttamente il nemico. Silenziose, ma la cui azione fu
rumorosa ed efficace quanto quella dei colpi che partivano dai fucili dei loro
compagni e delle loro compagne (molte, in realtà, erano le donne combattenti),
dei loro mariti, fratelli, figli. Fondamentali furono le infermiere, così come
le staffette e le informatrici, che fornivano ai combattenti dettagli
fondamentali circa le azioni nemiche, che portavano viveri, indumenti e
munizioni, andando su per i colli, attraverso boschi, con il costante rischio
di essere scoperte e fucilate.
Le staffette costituirono un ingranaggio importante della
complessa macchina dell'esercito partigiano. Senza i collegamenti assicurati
dalle staffette le direttive sarebbero rimaste lettera morta, gli aiuti, gli
ordini, le informazioni non sarebbero arrivati nelle diverse zone.
Delicato e
duro, quasi sempre pericoloso era il loro lavoro; anche quando non attraversavano
le linee durante il combattimento, sotto il fuoco del nemico, dovevano con
materiale pericoloso, talvolta ingombrante, salire per le scoscese pendici dei
monti, attraversare torrenti, percorrere centinaia di chilometri in bicicletta
o in camion, spesso a piedi, non di rado sotto la pioggia e l'infuriare del
vento. Pigiata in un treno, serrata tra le assi sconnesse di un carro bestiame,
la staffetta trascorreva lunghe ore, costretta sovente a passare a notte ne e
stazioni o in aperta campagna sfidando i pericoli dei bombardamenti e del
tedesco in agguato.
Spesso dovevano precedere i fascisti che salivano, per avvertire in tempo i
nostri, e talvolta restavano coinvolte nel rastrellamento. Dopo i combattimenti
non sempre i partigiani in ritirata potevano trascinarsi dietro i colpiti
gravemente. Se c'era un ferito da nascondere rimaneva la staffetta a vegliarlo,
a prestargli le cure necessarie, a cercargli il medico, a organizzare il suo
ricovero in clinica.
Non di rado, dopo la battaglia, la staffetta restava sul posto nel paese
occupato, per conoscere le mosse del nemico e far pervenire le informazioni ai
comandi partigiani. Durante le marce di trasferimento erano all'avanguardia:
quando l'unità partigiana arrivava in prossimità di un centro abitato, la
staffetta per prima entrava in paese per sincerarsi se vi fossero forze nemiche
e quante, se fosse possibile o meno alla colonna partigiana proseguire.
Durante le soste di pernottamento e di riposo le staffette andavano
nell'abitato in cerca di viveri, di medicinali e di quant'altro occorreva.
Infaticabili, sempre in moto notte e giorno per stabilire un collegamento,
ricercare informazioni, portare un ordine, trasmettere una direttiva; spesso
nella piccola busta che la staffetta nascondeva in seno vi era la salvezza, la
vita o la morte di centinaia di uomini. (“Il Monte Rosa è sceso a Milano,
Secchia Moscatelli).
Queste donne, forti e coraggiose, sono state il vero motore
della Resistenza, che non sarebbe stata possibile senza di loro e che il 25
Aprile del 1945 pose fine all’oppressione del regime fascista.
Una donna in particolare, di cui sono venuto a conoscenza
per caso, leggendo la sua autobiografia, “Da Rivoli verso il mondo”, ha avuto
un ruolo importantissimo nella lotta partigiana del torinese.
Si tratta di Lidia Lazzero, nata nella cittadina alle
porte del capoluogo piemontese, il 22 Gennaio del 1925, anno in cui il Fascismo subisce una svolta che porterà
all'abolizione delle libertà democratiche e alla realizzazione di una dittatura
autoritaria.
Lidia trascorre l’infanzia e la giovinezza segnate dalla
profonda sofferenza di vedere l’amato fratello, Mario, continuamente e
pesantemente punito per il rifiuto di partecipare alle esercitazioni e al corso
premilitare voluti dal duce, che si svolgono il sabato pomeriggio, il
cosiddetto “sabato
fascista”. Questi episodi fanno nascere in lei, come racconta nel libro,
“una coscienza e un senso di ribellione alle cose ingiuste”, sentimenti che si
fanno sempre più forti con il passare degli anni, a causa delle insopportabili
condizioni portate dal regime.
Il 10 Giugno del 1940, dopo la dichiarazione di guerra alla
Francia pronunciata da Mussolini, Lidia viene umiliata e schiaffeggiata di
fronte alla piazza perché si rifiuta di applaudire.
Nel ’43, a seguito dell’arresto del duce, assieme ad altri
antifascisti, si reca alla Casa del Fascio, ancora occupata dai fedelissimi di
Mussolini, con la ferma volontà di restituire l’edificio ai cittadini rivolesi.
Sopravvive per miracolo all’enorme mole di fuoco proveniente dalle armi dei
tedeschi asserragliati nella casa, che colpiscono a morte i suoi compagni prima
di fuggire dal retro dell’abitazione. Viene anche arrestata con l’accusa di
aver insultato due donne fasciste. È dopo il rilascio che comincia la sua vera
e propria lotta contro il regime, entrando a far parte della 15° brigata delle
Squadre di Azione Partigiana, a comando del Comitato di Liberazione Nazionale
Alta Italia.
I primi periodi di lotta si svolgono in clandestinità, nella
fabbrica in cui è impiegata, in cui si producono accessori aeronautici. A seguito
di una protesta degli operai, che lamentano turni ed orari proibitivi e scarso
cibo, per via del razionamento dei generi alimentari, i nazisti, per calmarli e
garantirsi la presenza di qualche operaio nelle fabbriche, decidono di
consegnare alcune derrate alimentari, che Lidia, d’accordo con altri
partigiani, anch’essi operai nella stessa fabbrica, decide di rubare e
consegnare ai combattenti che patiscono il freddo e la fame, braccati dai
nazisti sulle montagne. È così che ha inizio la sua attività di staffetta,
che continua nonostante il licenziamento a seguito della denuncia di alcune
spie presenti tra gli operai.
Solo per la città di Rivoli, la lotta partigiana è costata
la vita di moltissime donne: 99 combattenti e 38 civili uccise dai nazisti, 185
deportate nei campi di sterminio.
A soli 18 anni, la partigiana
Lidia ha il coraggio e la forza di affrontare il nemico nei campi, in città,
sui monti. Attraverso i boschi avviene gran parte dei suoi rischiosi trasporti
di viveri, munizioni ed indumenti per i compagni partigiani. E poi ancora,
instancabile, in giro per ospedali a cercare, assistere e sostenere i
combattenti feriti. È proprio lei a ritrovare la salma del fratello di una sua
cara amica, morto a seguito di un rastrellamento nelle valli di Lanzo. E sempre
a lei tocca il doloroso compito di riportarla a casa e dare la tragica notizia
alla famiglia.
Il 2 Maggio del 1945, l’occupazione della Germania da parte
delle truppe sovietiche restituisce la libertà, ponendo fine ad un incubo
durato oltre vent’anni. Tra il 1943 e il 1945 il nostro Paese ha lottato contro
la dittatura instaurata da Benito Mussolini e fondamentale è stato l’apporto
delle donne italiane, al fianco dei loro padri, fratelli, mariti e figli, spesso
fino alla morte.
Dopo la fine del conflitto, Lidia dedica la sua attività
all’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, occupandosi della compilazione
delle pratiche per il riconoscimento della partecipazione alla Lotta di
Resistenza. Negli anni successivi le vengono riconosciuti particolari meriti
tanto da essere insignita col Diploma d’Onore di Combattente per la Libertà,
premio che le viene conferito dalla Presidenza della Repubblica.
Tante e importanti sono le mansioni che Lidia svolge dopo il
conflitto: la Camera del lavoro di Torino, la militanza all’interno del Partito
Comunista Italiano, con il quale è eletta dal ’51 al ’56 nel Consiglio Comunale
di Rivoli. Più volte arrestata durante manifestazioni per i diritti dei
lavoratori, viene poi trasferita alla segreteria generale della C.G.I.L. a Roma
e successivamente a Sofia, in Bulgaria, alla Federazione Sindacale Mondiale.
Dopo ben sessant’anni di lavoro, in patria e all’estero,
sempre al fianco dei lavoratori, Lidia torna a Rivoli, dove entra a far parte
del direttivo del Sindacato Pensionati Italiani e dell’Associazione Nazionale
Partigiani d’Italia, con cui organizza una serie di incontri rivolti ai ragazzi
delle scuole medie di Torino e provincia, durante i quali affronta il tema
della guerra e racconta come è nata la Resistenza e come ha dedicato la sua
vita a ideali come la libertà, la giustizia e il lavoro.
Non nascondo che, mentre quest’articolo prendeva vita, mi
era venuta l’idea di intervistarla, ma purtroppo Lidia Lazzero ci ha
lasciati il 19 Maggio del 2010,
a 85 anni.
Per concludere vi lascio un pensiero tratto dal suo libro,
in cui mi ritrovo moltissimo:
“Ai giovani desidero ancora spiegare perché sono riuscita a
fare tutto quanto ho vissuto durante i miei ottantatre anni. Io sono riuscita
grazie alla mia forza di volontà e al mio forte ideale, perché – ricordate
tutti sempre – giovani e meno giovani – che sia nel bene che nel male – e
purtroppo può esserci più male che bene – io sono stata sorretta dai miei
ideali di pace, libertà, giustizia, lavoro, studio, politica. E non tanto per
me, ma rivolti a tutti e al bene dell’umanità. Ogni giorno mi ripetevo:
nonostante tutto la vita è bella finché son viva, è bella in ogni suo momento,
nella gioia e nel dolore. Basta saperla vivere e, soprattutto, mai cercare di
voler l’impossibile.”
Tony.
Devo dire che leggere queste parole, mi ha profondamente commosso. Sarà che in questa donna forte e coraggiosa, Lidia, rivedo un po' mia nonna, che con il suo carattere indomito si è sempre battuta contro il fascismo. Forse lei non era una partigiana, ma non per questo ha contribuito di meno alla causa. Quando eravamo piccole (mia cugina ed io) era solita raccontarci storie di guerra, di come, una volta saputo che l'uomo che amava era caduto in battaglia, era corsa in piazza e aveva letteralmente sputato in faccia (e non mi vergogno a dirlo) al sindaco fascista del paese. Di come, spesso e volentieri, avevano nascosti i partigiani nel fienile, sfamandoli e curandoli quando ce n'era bisogno. Non se ne vedono tante di donne come loro ai giorni d'oggi, e nonostante mia nonna sembri a volte un po' pazza, da lei e da donne come Lidia traggo profonda ispirazione.
Ringrazio Tony per questo splendido ritratto.
Alla prossimo mese.
Monica, Tony, Miki, Francesca, Clara, Mik e Federica.
Non faccio fatica a pensare a tua nonna come una rivoluzionaria, anzi, mi stupirei del contrario...
RispondiEliminaPeccato che non si parla mai di queste donne, credo che sia una grande perdita.
Grazie infinite per avermi ospitato. E' stato un onore per me...
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