Buona settimana a tutti!!!
Incredibile ma vero, sono felicissima che oggi sia lunedì, perchè ritorna la nostra amatissima rubrica "Ritratto di Signora" ideata in collaborazione con la mia fuxionipote Miki e il suo blog Miki in the Pinkland
Come sempre potete trovare lo stesso articolo sui seguenti blog Diario di una dipendenza , Franci lettrice Sognatrice, The Pauper Fashionist, Stasera cucino io.
Questo mese la rubrica ospita il ritratto del nostro Michele, conosciuto anche come Mr. Ink .. un ritratto insolito e molto originale che ha commosso tutte noi!
Speriamo che possa piacervi.. buona lettura.
Buon
viaggio..
Una cortina di fumo mi circonda, a tal punto da impedirmi di
vedere anche a un palmo dal naso.
Sembra
formata dagli sbuffi di ghiaccio secco di un concerto rock o, se non fossi
consapevole di come sono giunto a questo punto, direi che è merito dei fumi che
circondano le astronavi aliene nei film di serie B.
Questo non è un film di
fantascienza e, soprattutto, non ho viaggiato in compagnia di E.T tra pianeti
sconosciuti. Ma ho viaggiato.
E tanto.. Ho
attraversato gli anni e gli oceani, facendo una falla nel presente e
affacciandomi in un passato che pensavo di conoscere.
Tutto per vederla.
La
prima cosa che mi colpisce degli anni '60 è il fumo. Credetemi se vi dico che
sarebbe il paradiso su misura per Italo Svevo! Fumano tutti e fumano ovunque.
Fuma il tipo che mi guarda, sospettoso, da sopra il giornale. Fumano l'uomo
corpulento dietro il bancone, l'addetta alle cucine e la cameriera sorridente
che, in questo momento, mi si avvicina. Se non fosse per la sigaretta che le
pende tra le labbra rosse, somiglierebbe alla perfezione alla vecchie modelle
che si vedevano all'epoca delle prime Coca-cola.
Incrociando il suo sguardo,
scuoto il capo. La mia accompagnatrice non è ancora arrivata. Una mezz'ora di
elegante ritardo. Mi aspettavo peggio, conoscendo il personaggio.
Poi sento il
rumore metallico di una collana che oscilla, una donna si schiarisce
delicatamente la voce. Sollevo lo sguardo e, improvvisamente, non sono più
tanto sicuro di non essere sbucato in una galassia lontana. I denti sono perle
bianche, il sorriso è una linea ondulata e colorata di rossetto che illumina un
volto dalla bellezza inimitabile. I capelli sono di un biondo che nessun
parrucchiere riuscirà mai a emulare e nessuna
telecamera, per quanto sofisticata, riuscirà a cogliere. La guardo sfacciatamente
e mi ripeto che forse non è di questo mondo.
Si china su di me emanando
deliziosi sbuffi di profumo a ogni passo, mi passa la mano sotto il mento e,
con una smorfia simpatica, mi chiude la bocca spalancata. Una nuvola di Chanel
n°5 per la figura di merda più colossale dei miei diciotto anni! Arrossisco
violentemente e, con gli occhi chini, stringo il mio taccuino tra le mani.
Lei
ride e il mondo smette di fare rumore. Gli occhi sono puntati su di lei,
protagonista di uno spettacolo “sold out” che continua anche nella sua vita
privata. Niente privacy, niente segreti che non siano già stati spiattellati
sui rotocalchi dell'ultimo mezzo secolo. « Don't worry, Michele. Non sarebbe
comunque la prima volta che capita». La sua voce è un musicale mix di italiano
e americano, con le vocali leggermente aperte e le “c” strascicate in dolci
fruscii di parole. Non credo abbia mai girato nemmeno un film da noi, ma nel
regno della mia mente ha più risorse lei di Google Translate. «Avrei immaginato
baffetti da bibliotecario, un raccapricciante riporto e un papillon sfatto.
Non.. te...». Balbetto qualcosa di incomprensibile e mi avvento sulle domande.
Lei ascolta attentamente con le gambe accavallate e la scarpa dal tacco grigio
champagne sembra tracciare, nel frattempo, circonferenze immaginarie nell'aria.
Sa già cosa chiederò, e non vorrebbe ascoltare. Ora è lei a evitare il mio
sguardo e i suoi occhi azzurri si perdono in ricordi in cui quella bimba
riccioluta è soltanto una faccia in bianco e nero in una foto di gruppo. La
protagonista di una tragedia familiare che non è la sua.
Adesso tutti conoscono
il suo nome e nessuno può ferirla. Lei è Marilyn, Norma Jeane non c'è più.
Quella ragazzina è stato un errore portato in grembo per nove mesi. Una figlia
non voluta; un errore all'anagrafe, nato dall'unione dei nomi di battesimo di
due dive del dopoguerra: Norma Talmadge e Jean Harlow.
Una svista come lo è
aggiungere una “e” di troppo. Nacque nell'estate del 1926, ma il suo cuore fu a
lungo tormentato dal rigore di un inverno perenne. Una madre fragile e
incostante, degli zii soffocati dal fanatismo religioso, una felicità fugace
sotto il tetto di un'amica di famiglia e poi gli orfanotrofi, gli orfanotrofi,
il sesso scoperto ancora da bambina e un circolo di violenza e privazioni –
alimentato da famiglie lampo, da papà dalle mani troppo lunghe e da carcerieri
rimasti ancora senza volto. Improvvisamente, l'indipendenza.
Un nuovo nome, un
nuovo colore di capelli, un nuovo modo di atteggiarsi e sorridere. Studiato per
piacere, sfondare, farsi amare e riempire un vuoto dalle proporzioni di
un'infanzia sottratta. I suoi occhi troppo azzurri mi parlano di un destino
d'attrice scritto anche all'anagrafe, degli uomini sbagliati, dell'amore più
intenso che si è rivelato soltanto bieco possesso, dei soldi che, aveva
creduto, potessero renderla felice.
Però continua a non dire niente, mentre io
porto finalmente a termine la prima di una serie di noiose domande che,
immagino, avrà sentito già mille volte. Osservo il collo candido che sbuca da
un dolcevita nero, il carnoso neo sul labbro destro, le sue forme morbide che
sovvertono completamente le silhouette filiformi che falcano le passerelle
odierne e, soprattutto, osservo quegli occhi tremanti che cercano una via
d'uscita. Che mi chiedono già basta.
Mi appare nella sua vera essenza, una
bambola di ceramica con troppo trucco che ha imparato a vivere delle attenzioni
altrui: indifesa, immensamente piccola nel suo metro e sessantasei, la bimba
dal pianoforte scordato - che era un tempo e non è mai stata - alla mercé di un
orco cattivo e dispettoso. Così come si era calato, il sipario torna ad
alzarsi. Mi si avvicina di nuovo e di nuovo vacillo sulla mia panca. Mi sposta
il ciuffo dagli occhi e, mordendosi la lingua come una bimba alle prese con una
marachella, mi sfila gli occhiali da vista. I suoi occhi rimpiccioliscono
dietro i vetri spessi dei miei Ray Ban e li storce con uno sbuffo irriverente.
Tende le mani nel vuoto, come se volesse acchiapparmi.
Eccomi, le dico nella
mia mente. Prendimi.
«Uh, sembri così piccolo», sghignazza, e,
indicando il massiccio barista: «Pensa che lui lo vedo come uno dei Puffi! Un
grosso Puffo arrabbiato, e rosso come un peperone!». Hulk, lì, risponde con un
grugnito e Marilyn controbatte con un'altra risata argentina, che scema nel
pugno che si porta alla bocca, simulando un mal riuscito attacco di tosse. Lei
è cosi. Pazza e meravigliosa. Un miracolo che, la notte, si oscura dietro un
banco di malinconia. «Penso sia l'ora di andare via. Sei un bel ragazzino, ma
non credo che le storie che ti porti dentro e i libri che ti porti appresso
possano fare qualcosa contro le nocche di quel bruto. Voglio portarti nel mio
posto segreto». Io sto scappando insieme a Marilyn Monroe.
I flash dei
paparazzi in strada, la sua mano attorno al mio braccio, lo scalpiccio di piedi
in fuga, un'oasi di pace in piena New York. Sfrecciamo dinanzi alle vetrine
luccicanti di Tiffany e potrei giurare di aver scorto un tubino nero, una
collana di perle e un paio di Ray Ban scuri, certamente più famosi dei miei,
riflessi tra gli ori e i diamanti. Audrey e la sua strana e celebre colazione:
la più dolce.
Imboccato un vicolo sperduto, ci troviamo davanti a un negozietto
dal parquet lucido e dall'odore di cera e sandalo ad aleggiare, simili a note
ancora inespresse, tra le scale a chiocciola e i tasti in bianco in nero. Un
trilione di tasti per un mare in cui, a galleggiare, ci sono pianoforti di ogni
foggia e colore.
La presa di Marilyn si fa più intensa e la sua voce lascia
trapelare un brivido di emozione: «Questo è il mio rifugio. Nemmeno i colpi di
cannone potrebbero affondarmi su questa nave che - al posto delle vele, della
poppa e di quello strano sterzo che gira.. mmm.. come si chiama? - ha 88,
piccole scialuppe di salvataggio in cui barricarmi».
Volteggia su sé stessa in
un ciclone di balze perfettamente stirate e sorride riconoscente alla coppia di
anziani che la osserva da dietro la cassa. Sono loro i proprietari di questo
castello in cui la ragazza che ha tutto può sentirsi una vera principessa. Le
sue dita scivolano sui tasti di un piano a coda, dando vita a una trascinante
scala musicale che rompe il silenzio. «88», mormora, «il numero perfetto. L'infinito che guarda in faccia l'infinito.. Non ho mai avuto un piano tutto
mio. Non ho mai avuto nulla, in verità, che fosse tutto mio. Nella cittadina in
cui sono cresciuta, mi incantavo a contemplarli dalle finestre affacciate sul
negozio di musica, poi, una delle mie tante mamme, l'ha comprato di seconda
mano da un'ex stella del cinema muto. Era scheggiato, rotto, scordato, ma aveva
ancora tante cose belle da dire. Distrutto e annientato come questo cuore mio,
ma con ancora tante melodie da cantare».
E' allora che noto le occhiaie coperte
da un velo di fondotinta, le rughe scavate dal dolore, un ghigno sofferente
mascherato da sorriso. La sua vita la conoscono tutti, ma ora mi darà un
frammento inedito di sé stessa. La vecchia e la nuova lei si incontrano a bordo
di quella zattera di salvataggio dal suono incantevole. Canta per me, canta perché
certe parole non possono rimanere non dette.
Ho
sofferto ogni offesa, ma ora mi elevo al di sopra di tutto.
Sì,
il prezzo che ho pagato era tutto ciò che avevo, ma se
qualcosa
di buono può venire dal male, il passato può riposare in pace.
Quindi,
se vedete qualcuno che soffre e ha bisogno di una mano,
non
dimenticatemi, o se sentite una melodia triste di una mezza coda,
beh,
non dimenticatemi. Quando cantate “tanti auguri” a qualcuno che amate,
o
vedete dei gioielli che vorreste fossero gratis, lasciate che brilli come
se
fossi la vostra stella. Ma dimenticate ogni uomo che ho incontrato,
perché
hanno vissuto solo per controllarmi. Per un bacio hanno pagato mille dollari,
ma
hanno messo all'asta la mia anima per cinquanta centesimi!
Ma
non hanno comprato me quando hanno comprato il mio nome ed ecco
perché
vi prego di non dimenticarmi. Ci sono persone che per brillare
non
possono farlo da sole, quindi proteggetele e abbiatene una cura speciale,
abbiatene
cura.. Quando guardate il cielo con la persona che amate,
e
una luce brilla lontana, spero che vediate il mio viso e che diciate una
preghiera,
e,
vi prego, fatemi diventare quella stella”
Una sua lacrima cade al suolo e io svanisco in essa. Una
lacrima per coloro che sono vittime dei demoni della giovinezza e della fama.
Una lacrima per chi, a proprie spese, ha imparato che i soldi non possono
comprare l'affetto di una famiglia, l'amore e il calore di una persona che ti
stringe a sé. Una lacrima per scoprirsi sveglio nella propria stanza, davanti
allo schermo di un pc che, fino a poco prima, era un lenzuolo bianco. Mia mamma
mi passa accanto e mi scuote i capelli, via le cuffie dell'ipod dalle orecchie.
«Dove sei stato di bello, Michè?», dice prendendomi in giro. Sto al gioco, e
rispondo: «Da un'amica.. Da un'amica..». Forse
è una bugia, ma sul viso sento l'ombra di un suo bacio. Dentro, l'eco di un
vuoto che - contro i luoghi comuni e la negligenza dei bigotti col dito puntato
- ho imparato a capire.
Nota: Quest'idea mi è venuta per caso, quando mi sono
accordo che mancavano poche settimane al mio turno nello scrivere un post per
questa bella rubrica. Ahimè, non mi sono affidato alla lettura di biografie o
romanzi – amici e parenti, tuttavia, mi parlano benissimo di Vivere e morire
d'amore, di Alfonso Signori e La mia settimana con Marilyn, di Colin Clark - ma mi sono lasciato ispirare dallo
splendido film con Michelle Williams e Eddie Redmayne (La mia recensione qui ) e
dalla serie musicale Smash, a un cui brano (Don't Forget me) è ispirata
interamente la canzone intonata dalla mia “amica per un giorno”. Il titolo di
quest'avventura riprende, invece, quello del romanzo Cercando Alaska, di John
Green. Un'altra incognita bionda alle prese con gli spettri dei suoi giovani
anni. Al prossimo mese, Mr. Ink.
Grazie mille a tutti per l'attenzione e ci vediamo il prossimo mese!
Monica, Miki, Michele, Clara, Fede e Francesca
Monica, Miki, Michele, Clara, Fede e Francesca
Che bello ritrovarsi di nuovo... Non la smetterò mai di ripetere quanto mi sia piaciuto questo articolo... Tanti complimenti a Michele...
RispondiEliminaGrazie a tutte :)
Elimina@MIchele: Sublime! Non ci sono parole per descrivere la tua bravura, non solo in questo pezzo, sia chiaro, ma anche negli articoli del tuo blog! Complimentoni!
RispondiEliminaComplimenti Michele hai avuto un idea molto originale per raccontare la vita travagliata di una delle più grandi dive del cinema. Scrivi davvero bene!
RispondiEliminaComplimenti a Michele per questa meraviglia! Emozionante e geniale! Bravissimo!!!
RispondiEliminaSemplicemente splendido....sono senza parole....
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